Con il patrocinio del Comitato Regionale Veneto per le Celebrazioni del Centenario della Grande Guerra

 

 

L’iniziativa rientra nel programma ufficiale delle Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Struttura di Missione per gli anniversari di Interesse Nazionale.

 

 


“LE MIE ALI”

 

di Mario Antognazza ex Ufficiale dell’Aeronautica Militare Italiana

Eravamo in sei ,gli unici sei superstiti risparmiati dalla selezione delle Scuole di Volo e destinati ai velivoli a getto, quando varcammo la porta d’ingresso della palazzina Comando del 2° Stormo. L’aquila turrita spiccava, appuntata “in virata”, sull’impeccabile azzurro delle divise mentre i gradi luccicanti e immacolati da Sotto Tenente impreziosivano spavaldamente il taglio delle maniche.  Salimmo lo scalone che portava al pianerottolo del primo piano per raggiungere l’ufficio del Comandante di Stormo al quale ci saremmo dovuti presentare mentre tutti i Piloti dei due Gruppi, i Guizzi Alla nostra destra e i Nibbi a sinistra, erano appoggiati alla ringhiera accogliendoci con la solita “allegra e colorata benevolenza” usuale in tutti i Reparti dell’Aeronautica. Penso che difficilmente si sarebbe presentata, per gli anziani, u ulteriore e così ghiotta occasione di poter godere dell’imbarazzo di tanti pivellini in un colpo solo!  Ma questa è la ruota della vita dei Gruppi di Volo e noi ne eravamo perfettamente coscienti.  Per tutto il tempo necessario a salire gli scalini si scatenò il “toto scommessa” per puntare sulle future assegnazioni di noi pinguinotti con le alucce ancora implumi. Nel frastuono degli apprezzamenti e considerazioni, più o meno eleganti ma perfettamente consoni alla situazione e amplificati dall’acustica del salone, potei udire distintamente una esclamazione alzarsi sopra le altre proveniente dalla parte del 103: -“ Il piccoletto è nostro ! “ – Naturalmente non c’era nessun altro dei miei compagni col quale mettere in discussione i centimetri della mia statura per cui, sagacemente, intuii che quella esclamazione era diretta a me. Seppi poi che la voce apparteneva a Bruno Patelli, colui che continuò a chiamarmi “piccoletto”, il mio talent scout e quel “papà aeronautico” che segnò il mio destino colorandolo di Giallo. Ci volle ancora un po’ di tempo prima di avvicinarmi con la tuta anti-g indossata alla lunga linea volo dei G 91R divisa, in due parti uguali, dal raccordo centrale della pista di volo. Si sa che la pazienza è la virtù dei forti e finalmente verso la fine del mese di aprile accompagnato da un’altra colonna del Reparto, Antonio Piccolo, iniziai timidamente il primo giro dei controlli esterni cercando l’amicizia di Gi. In quelle prime missioni di transizione imparai a conoscere il carattere di Gi, le sue possibilità, le sue potenzialità, i suoi pregi e difetti. Sotto di me iniziò a correre un altro tipo di paesaggio. Abituato com’ero a sorvolare le magnifiche terre del Sud dove i centri abitati erano ben definiti e facilmente identificabili mi trovai a fare i conti con la foschia che spessissimo sporcava l’orizzonte del Nord e con il continuo ed incessante filare di paesi e cittadine che ricoprivano la piatta pianura Padana improvvisamente delimitata dalle rocce, a prima vista impenetrabili, delle Alpi e le subdole cime arrotondate degli Appennini. Scalpitando in sella a Gi imparai a riconoscere i più disparati incroci, ponti, stazioni ferroviarie, campanili e piazze dei piccoli paesi appoggiati sulla lussureggiante pianura. Abbiamo scorrazzato sopra i campi arati della bassa Padana arroventati dal solleone in estate ed imbiancati dalla neve in inverno. Ci siamo allenati ad imprimerci nella memoria le attività rilevate sugli obiettivi assegnati sorvolandoli veloci come pallottole e con la pancia bassa come lepri. Abbiamo immortalato con le macchine fotografiche momenti lieti della nostra storia o scenari terribili che nessuno avrebbe mai voluto vivere.  Innumerevoli volte ho avuto il piacere di sorvolare il “Grande fiume” che, con le sue voluttuose anse ed i suoi immutabili ponti, sarebbe stato un sicuro riferimento nelle giornate di nebbia per ritrovare la via di casa. Imparai a sorvolare le creste addolcite degli Appennini che, come Sirene ammaliatrici, molte volte mi invitarono a proseguire nella mia corsa contro il tempo nascondendo insidie inaspettate. Assieme a Gi potei vincere la paura che le prime volte si impadroniva di me mentre ci infilavamo velocissimi nelle strette valli alpine sfiorando gli alti costoni di roccia oppure sorvolando i maestosi ghiacciai che solo gli alpinisti più arditi potevano osservare. Il volo in coppia o in formazione divenne il mio pane quotidiano appiccicato con le unghie e coi denti all’ala del mio compagno di volo molte volte per necessità e alcune altre per virtù. Il reticolo del collimatore non ebbe più segreti puntando, fortunatamente solo per esercitazione, i bersagli dei vari poligoni sparsi sul suolo italiano. L’azzurro delle nostre divise si confuse spesso con quelle grigio verdi dei nostri amici dell’Esercito e con le Penne Nere dei granitici Alpini nell’intento di affinare reciprocamente le nostre capacità operative da mettere a disposizione congiuntamente al nostro Paese Chiuso nel piccolo abitacolo mi sono arrampicato, innumerevoli volte, alto nel cielo dove la giusta e sicura via era indicata solamente dalla piccola punta bianca delle lancette di pochi e spartani strumenti, imparando a dominare l’ansia derivante dalla consapevolezza di essere minuscolo puntolino immerso nella enormità della natura che molte volte mi lanciava il guanto di sfida deformando le mie ali metalliche ricoprendole con pesante ghiaccio o flagellando la cupoletta trasparente del tettuccio con scariche violente ed improvvise di pioggia e di grandine. Quante volte Gi ed io ci siamo incontrati in linea volo nel buio della notte per ammirare, una volta lasciata la catenaria illuminata della pista spazzata dalla luce rossa intermittente delle anti collisioni, l’incanto delle luci colorate dei paesi delle città e delle strade che scorrevano rapide sotto di noi mentre le stelle, nella loro immutabile e fredda presenza, ci avvolgevano il tettuccio. -“ Ma, mi stai ascoltando Marietto ? “- “Certo che si “- risposi quasi automaticamente ad Umberto mentre stavamo raggiungendo a piedi i Gi parcheggiati nel piazzale di fianco all’hangar, in quella che risultava essere la nostra ultima piccola linea volo prima dell’avvento del “nuovo”. Quel richiamo del mio Capo Formazione mi riportò brutalmente alla realtà di quel giorno staccandomi di netto dai ricordi, dalle immagini e dalle sensazioni che correvano nella mia mente. Si era appena concluso il briefing con il resto dei Piloti provenienti dai Vari Gruppi di volo che avevano fatto parte del 51° Stormo. Sulle loro tute da volo, quale giustacuore, spiccavano i colori, gli stemmi ed i motti che hanno fatto grande la nostra Aeronautica Militare Sui visi dei ragazzi del 20°, del 21°,del 22°,del 23° del 103° era disegnata quella orgogliosa consapevolezza di essere i depositari della storia di ciascun Gruppo e la orgogliosa volontà di tramandare le loro tradizioni. Erano atterrati ad Istrana a bordo dei loro F104 per celebrare il Cinquantesimo Compleanno dello Stormo disegnando nel cielo della Marca Trevigiana il numero “ 51°” Gli Spilloni avrebbero composto il “5”. Il 103 assicurava l’inchiostro volante per la scrittura del numero “1” con una fila indiana (..manco a dirlo!) di cinque Gi ,mentre la Squadriglia Collegamenti ci metteva il “puntino” arancione con l’MB 326 quale firma del pittore alato. Mi avvicinai a Gi, al mio amico Gi con la fascia Gialla sulla coda. Sapevamo tutti e due cosa sarebbe successo quel giorno ma entrambi, quasi rispettando un misterioso e tacito accordo, non ne facemmo menzione. La calma apparente della Base scomparve d’improvviso quando l’urlo dei carrelli di avviamento e lo scoppio delle cartucce lacerò il silenzio rubando la scena agli ultimi grilli della stagione appostati nell’erba adiacente ai piazzali. Ancora una volta l’asfalto della testata pista dovette sopportare il peso di sedici velivoli che con i freni tirati scaricavano sulle ruote l’incontenibile potenza delle turbine spinte al massimo dei giri, pronte a trasformare i caldi e dolciastri vapori del kerosene bruciato in velocità pura per proiettare quelle stupende macchine nella libertà del cielo. Anche con l’ossigeno al 100 % si poteva respirare la turbolenza che aleggiava sulla pista e le frustate d’aria che arrivavano sulle ali di Gi ne erano la prova tangibile. I segnali laterali, indicanti la pista rimanente, iniziarono a correrci incontro sparendo, uno dopo l’altro sempre più velocemente al nostro fianco ed il magico momento del decollo arrivò anche per noi.  Belli, puliti e veloci come saette raggiungemmo glia altri quattro nostri simili. Il momento dell’apertura dell’aerofreno, né un secondo prima né un secondo dopo, ci inchiodò esattamente nella posizione di formazione decisa in fase di pianificazione. Sotto il tettuccio si respirava un’aria particolare: era come se una mano ruvida toccasse il mio cuore e intuivo che anche Gi ne era perfettamente consapevole. -“Occhio che dobbiamo fare bella figura oggi amico mio “- incitai Gi con lo scopo di farlo anche nei miei confronti –“ alla nostra sinistra ci sono gli aerei di punta della nostra AM . Tutti sbavano per gli “spilloni” ma vedrai che con l’orgogliosa umiltà che ci ha sempre contraddistinto faremo la nostra “bella figura “anche questa volta. Lo so che è un problema mantenere posizione a bastone esattamente simmetrica dietro il sedere di altri quatto reattori ma quello è compito mio !.... Tu seguimi con dolcezza e faremo “filotto”. – Una volta in vista i due Leader e “il puntino” composero il numero “51° “mettendosi in linea di fronte, alla distanza esatta tra di loro, raggiungendo il cielo campo quasi a sfogliare le pagine del libro della storia dello Stormo a 300 nodi di velocità. Mentre la formazione da parata sorvolava maestosa la verticale della pista, il silenzio in frequenza rotto solamente dalle poche parole della biga –“perfetto ..avanti così”- celava a malapena la tensione presente sotto ogni tettuccio dove gli occhi, il cuore , la mente ed i muscoli di ciascun pilota erano tenacemente puntati sui riferimenti di posizione. Sotto di noi i fotografi e gli infaticabili e irriducibili “spotters” ebbero pane per i loro denti immortalando quel passaggio che divenne irripetibile! Ma come sempre nella vita le cose più belle hanno una breve durata e le tessere di quello splendido mosaico che sapientemente erano state composte con fatica e professionalità vennero di nuovo ordinatamente scompigliate prendendo forme diverse, necessarie per ripresentarsi in una nuova sequenza all’atterraggio.  Già, l’atterraggio! Quell’atterraggio che entrambi, Gi ed io, non avremmo voluto arrivasse mai! -“Non posso riattaccare Gi ! .. non è previsto.. – “pensai con il magone in gola! L’apertura della candida calotta del parafreno ed il suo indimenticabile e caratteristico strappo segnò definitivamente la fine di una parte, forse la più bella, della mia carriera in Aeronautica! Era il primo giorno di ottobre del 1989!  Il giorno del mio ultimo volo con Gi, con Gi che mi ha regalato le ali per raggiungere il mio spicchio di cielo!Era il primo giorno di ottobre del 1989 !


Il giorno del mio ultimo volo con Gi, con Gi che mi ha regalato le ali per raggiungere il mio spicchio di cielo !


Era il primo giorno di ottobre del 1989 !


Il giorno del mio ultimo volo con Gi, con Gi che mi ha regalato le ali per raggiungere il mio spicchio di cielo !