Con il patrocinio del Comitato Regionale Veneto per le Celebrazioni del Centenario della Grande Guerra

 

 

L’iniziativa rientra nel programma ufficiale delle Commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Struttura di Missione per gli anniversari di Interesse Nazionale.

 

 

La storia del Ten. Col Burroni ing. Marco

di Maria Grazia Evangelista Burroni

 

Prendo spunto per il mio articolo dall’ultima lettera dell’Aeronautica militare che mi è stata inviata come risposta ad una richiesta che vado facendo da più di 20 anni: rendere pubblica la verità, emersa dalle perizie, sulla morte di mio marito ten.col. Burroni, ing. Marco. Il nome Burroni è un nome onorato, trasmesso ai due figli da un giovane pilota, bello e gentile, con due occhi color del cielo come quello che solcava sulle ali del suo aereo; io non l’ho conosciuto, è caduto durante un atterraggio di fortuna in Puglia, dicevano in famiglia (il gen. Giuseppe Piseddu, suo cognato ed amico, è ancora vivo per testimoniarlo) che, dato il suo carattere, non avesse esitato a cercare di salvare l’aereo anche a costo di non salvare se stesso! Si è guadagnato quattro medaglie, due d’argento e due di bronzo, pur essendo deceduto a 28 anni (foto di Mario e motivaz.medaglie.). Dei due figli, uno, laureatosi in medicina a Firenze, lasciò il servizio in Aeronautica e divenne un abile chirurgo molto stimato. E’ morto nel 1984 in un incidente d’auto in una strada di montagna, (articolo con foto) l’altro, mio marito, dopo la laurea in ing. elettronica a Bologna rimase in A. M. dove si è conquistato la stima di superiori ed inferiori per l’intelligenza, la correttezza e il carattere fermo e risoluto, morto per una ferita al torace causata dal difetto presente in una vecchia arma ereditata dal padre, una beretta 7,65… Tre uomini di valore stroncati dalla cattiva sorte! Non è forse giusto tributar loro almeno un ricordo? Sono in attesa di una risposta, è stato chiesto da un personaggio autorevole al presidente Mattarella di ricevermi, vorrei chiudere, non nel mio cuore, ma per il pubblico questa tristissima storia con un riconoscimento simbolico da lasciare a mio nipote che non ha avuto la possibilità di conoscere un nonno come sarebbe stato Marco Burroni. Ed ora qualche dettaglio in più sulla sua vita. Marco Burroni era nato il 15 novembre del 1942 dal cap. pilota Mario Burroni, e da Licia Scappini, figlia di un colonnello dell’esercito,.Giovanni Scappini. A 5 anni era stato messo in collegio insieme al fratellino, di un anno più giovane, e, spostandosi nelle varie sedi di Istituti dell’A. M. per gli “onfini” (orfani di militari dell’Aeronautica, appunto), dopo aver conseguito la maturità classica, si era iscritto alla facoltà di Ingegneria a Firenze, dove prestava servizio alla biblioteca della Scuola di Guerra Aerea con il grado di sottotenente e si era poi laureato a Bologna, dove lavorò presso l’aeroporto militare, finché non era rientrato in servizio a Firenze, dove abitava anche parte della sua famiglia d’origine. Nel 1970 il matrimonio e nel 1975 la nascita dell’unica figlia, Barbara. Fino al 1992 ha avuto vari incarichi, sempre alla SGA, ha insegnato agli AUC e ai corsi per ufficiali superiori, avvalendosi delle sue competenze tecnico- scientifiche e scrivendo dispense su vari argomenti. Nel ’92, quando aveva 30 anni effettivi di servizio e 40 complessivi riconosciuti, c’è stato un via libera da parte dell’allora comandante della Scuola per il trasferimento a Viterbo dove sarebbe stato utilizzato in pratica per l’addestramento reclute. Trasferimento ineccepibile nella forma, ma oltremodo sospetto, com’è attestato anche dalle telefonate intercorse in quel periodo fra mio marito e lo zio, gen. dell’A. M. Giuseppe Piseddu. Lo zio è vivo, compos sui e di lui ho una dichiarazione scritta, firmata, che attesta quanto dico. Lo stesso comandante di Viterbo ebbe a dichiararmi, un paio d’anni dopo, che si era chiesto come avrebbe potuto utilizzare un personaggio con le qualifiche che aveva il ten col Marco Burroni. Arriviamo ora al giorno dell’effettiva partenza per Viterbo (io gli avevo suggerito di chiedere subito il pensionamento; c’è fra i documenti che ho conservato un modulo apposito, ma lui volle, come gli era stato ordinato, presentarsi nella nuova destinazione, per poi, di lì a breve, fare la domanda di quiescenza). Era tutto pronto per la partenza quando mia figlia, che dormiva nella camera adiacente al salotto dove è avvenuto il fatto, si svegliò, verso le 7 di mattina, per aver sentito il padre lamentarsi, non lo sparo, si badi bene, che avrebbe dovuto essere assordante. Da quel momento un susseguirsi frenetico di eventi: l’arrivo dell’ambulanza, di polizia e carabinieri,della polizia scientifica. Mio marito era ancora vivo, la ferita al torace forse non sarebbe stata mortale se fossi riuscita a farlo portare in ospedale dove l’aspettava un chirurgo, amico del fratello, il quale era stato a sua volta chirurgo in quel reparto fino alla sua morte, avvenuta 8 anni prima in un incidente d’auto! Accanto a lui, seduto in poltrona in accappatoio, una vecchia pistola appartenuta al padre, con (caso molto strano) il caricatore parzialmente fuoruscito dal vano d’alloggiamento (ciò è documentato dal verbale della Polizia Scientifica). La prima perizia - non autopsia, ma solo esame esterno del corpo - fu commissionata dal P. M. ad una giovane ed inesperta dottoressa, appena specializzata in Medicina Legale, (si dà il caso che io sapessi chi era perché la madre era segretaria in una scuola dove avevo insegnato), la quale, commettendo errori grossolani, ipotizzava il suicidio… Il magistrato, comunque più esperto del suo giovane perito, concluse l’indagine senza nessun tipo di approfondimento, senza interrogare nessuno se non, su mio suggerimento, il medico militare, ma, con una formula da Ponzio Pilato, scrisse infatti: “…non si esclude che il colpo sia partito accidentalmente dall’arma”! Io stessa, per farmi ricevere da lei, avevo dovuto richiedere l’intervento di un mio conoscente magistrato. Nonostante avessi conferito l’incarico di seguire il caso a due avvocati penalisti, costoro, dopo avermi confermato che il magistrato era convinto si fosse trattato di incidente e non di suicidio, voce che si era diffusa come fuoco in una sterpaia nell’A. M., a loro volta non hanno fatto né consigliato nulla di concreto. Quando ho avuto IO in mano tutta la documentazione, leggendo la perizia commissionata dal P:M., mi sono accorta degli errori contenuti in quel documento ed ho chiesto a 2 periti, medici legali - uno anche un esperto di armi, l’altro uno dei più competenti e ONESTI di Firenze - nonché ad un conosciutissimo autore di testi sulle armi e perito balistico di fama, di studiare il caso. Ho chiesto la VERITÀ: non c’erano polizze d’assicurazione o altri motivi d’interesse! Addirittura il più importante fra i medici legali non ha voluto da me nessuna parcella, per ribadire che non c’era nessun interesse economico a spingerlo a scrivere ciò che aveva asserito nella sua perizia! Consegnati tutti i documenti e le perizie all’Ordine dei Medici di Firenze, ne ho ricevuto in risposta un documento SUPER PARTES che abbatte tutti i dubbi sul suicidio, ribadendo la convinzione che si sia trattato di un INCIDENTE. Naturalmente l’Ordine sconfessa pienamente l’operato del perito del P:M. Siamo nel 1994, due anni dopo la morte di Marco Burroni. Da quel momento in poi ho chiesto in tutti i modi,(sono intervenuti anche amici ufficiali e persino il sen. Valdo Spini - il quale era un mio compagno al liceo Dante - quando era sottosegretario alla Difesa) di dare diffusione del fatto che si era trattato di un incidente e non di un suicidio, ma non ho mai ottenuto NULLA! Mi ricollego all’inizio di questo scritto e, a conferma di questo assurdo e inspiegabile atteggiamento dell’ A. M. nei confronti di questa tragica e triste storia, ancor più triste per i comportamenti che ad essa sono legati, l’unica lettera di diniego ufficiale che ho ricevuto dopo 20 di tentativi.

Gentile dottoressa,

 abbiamo letto con molta partecipazione le sue email con le quali ha evidenziato, con dovizia di particolari, le argomentazioni a sostegno della sua tesi per la morte del suo compianto marito.

Come Forza Armata, come Istituzione dedicata alla Difesa, abbiamo un preciso mandato che è il privilegio di lavorare per la nostra gente, di metterci al suo servizio con abnegazione e devozione nell'intento di ripagare il cittadino per la fiducia che da sempre ci accorda.

La dolorosa vicenda che, nel silenzio della sua intimità vive quotidianamente, è risultata meritevole della massima attenzione da parte nostra, poiché coinvolge un figlio dell'Arma Azzurra.

Purtroppo, un intervento della Forza Armata nell'ambito di tale circostanza si ritiene che sia intempestivo e non pertinente con le finalità da Lei auspicate, poiché la motivazione addotta dal Pubblico Ministero nella richiesta di archiviazione è presuntiva e non basata su elementi di fatto.

La ringraziamo, pertanto, per la considerazione che ha voluto riservarci anche in momenti difficili come quelli che sta vivendo da tempo: ciò costituisce il più sentito incoraggiamento nell'adempimento del nostro dovere ed il più sentito stimolo allo spirito di servizio che lo alimenta.

 Gen. B.A. Claudio SALERNO

 

Ed ecco la mia risposta che credo spieghi molto bene la dinamica dei fatti e cosa unicamente ho sempre chiesto all’A. M.

Egregio generale,

 

Rispondo punto per punto alla sua pregiata lettera del 30.1.2015, pervenutami in data 12.4.2015:

 

1) La mia “tesi” sulla morte di mio marito, ten.col. Marco Burroni, non è “mia”, anche se è partita da una convinzione che le circostanze non potessero essere quelle espresse sul momento dal capitano dei carabinieri. Pietro Oresta, ma è confermata dall’Ordine dei Medici di Firenze sulla base di 3 perizie di stimati professionisti, uno dei quali, il dott. Massimo Forgeschi, addirittura non ha voluto nessun compenso per avvalorare la convinzione sull’accidentalità, che si era formato analizzando il caso e capendo che da parte mia non c’era altro intento che quello di arrivare alla verità!

 

Il punto fondamentale a sostegno dell’accidentalità è che la pistola è stata trovata dalla POLIZIA SCIENTIFICA, non da me, con il caricatore parzialmente fuoruscito dal vano d’alloggiamento, ciò non può accadere per una caduta da una poltrona, perché è durissimo da estrarre; in più l’arma in questione presenta (c’è un segno chiaro), un’interferenza fra la leva di trasmissione e il caricatore che può far partire accidentalmente il colpo in canna durante l’estrazione del caricatore stesso! Questa non è un’ipotesi, è un fatto oggettivo. Il secondo punto è costituito dalle caratteristiche della ferita, NON dovute ad un colpo sparato a contatto.

 

2) Mi dispiace dover affermare che nel mio caso non ho visto nessuna disponibilità a cercare un chiarimento, ricordo che tutto è partito da “chiacchere, “pettegolezzi”( il trasferimento, la morte dell’anziana madre) riprese frettolosamente e superficialmente da Oresta. Mio marito infatti, a soli 49 anni di età, aveva maturato come orfano di guerra 40 anni di servizio, sarebbe cioè andato in pensione con il grado e gli emolumenti da colonnello e una laurea in ingegneria elettronica.

 

3) Rispondendo al 3°punto della sua lettera, posso dirmi fortunata ad avere una vita piena di interessi che condivido con un ingegnere, ricercatore e progettista, a capo di un’associazione di ricerca, EvanLab.org, di cui sono segretaria, di essermi dedicata alla scrittura di un “romanzo” sulla mia storia, scritto insieme ad un amico, con lo pseudonimo di Grazia Dalberto, e ora di un saggio su un’interpretazione originale di Beatrice che sarà pubblicato con il patrocinio del Museo Casa di Dante presumibilmente dalla Regione Toscana. Ho una figlia, Barbara Burroni che, dopo la laurea in Scienze Naturali con 110 e lode, si è specializzata in naturopatia ( ha un suo studio) ed ora ha creato una nuova linea di cosmetici (www.divinaessentia.com) tutta naturale con oli essenziali, vegetali, oro e argento puri, che anch’io contribuisco a commercializzare. Come vede, la mia “intimità” è piuttosto affollata!

 

4) In relazione al suo punto 4 ribadisco che se il P.M. non ha fatto eseguire indagini né autopsia, ma solo esame esterno del corpo, sufficiente, però, a dirci la direzione del colpo (dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra, in pratica mio marito per spararsi volontariamente avrebbe dovuto fare un’azione da contorsionista) e le caratteristiche della ferita, non è responsabilità mia, ma di una magistratura che spesso non funziona, semmai ci dovrebbe essere gratitudine per chi si è addossato compiti di altri. Tuttavia la scelta del P.M. di non appoggiare la tesi del suicidio tout court, di non richiedere, come poteva fare, l’archiviazione senza esprimere un qualsiasi giudizio, ma di scegliere la formula della possibile accidentalità , ci dà delle indicazioni importanti ed infatti ha obbligato alla cancellazione della documentazione OPAS prevista per i casi di suicidio in ambito militare.

 

5) In conclusione, rispondendo ai termini “intempestivo” e “non pertinente” le ribadisco che io ho solo chiesto di trovare un modo opportuno per diffondere quanto sopra. Sarebbe così difficile, in una cerimonia in cui si commemorano i caduti della 2° guerra mondiale, riferirsi al cap. Mario Burroni, eroe di guerra, ricordare la tragica scomparsa dei due figli, dando risalto all’ incidentalità nel caso di Marco Burroni? Lei lo sa che quando morì mio marito circolò la voce che anche il fratello si era ucciso (era morto 8 anni prima in un insospettabile incidente d’auto)!Lo capisce cosa vuol dire il sospetto che può suscitare un suicidio su un nome onorato? E perché l’ A.M. ha preferito non tutelare la memoria di uno dei suoi, avendo tutti gli elementi per farlo? Molti ufficiali, a cui mi sono rivolta negli anni per chiedere un chiarimento pubblico, hanno trovato la scusa che ormai non c’è quasi più nessuno che ricorda mio marito, una falsità, continuo ad incontrare persone che lo ricordano benissimo, ho ricevuto molte attestazioni “sincere” di stima e compianto, nonché di disapprovazione per come l’A.M. ha condotto questa vicenda. Intempestivo dopo 23 anni? Non pertinente?

 

Ho deciso di rivolgermi al capo dello Stato, cercherò di raggiungere anche il presidente del Consiglio, Renzi, che era al liceo nella stessa sezione di mia figlia ed altri…6) Non commento il suo 6° punto perché rischierei di non essere serena.

 

 

M. Grazia Evangelista Burroni

 

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